giovedì 1 febbraio 2007

Gorla vs. Barzi & Oskar

UMORISMO BAROCCO
a cura di Stefano Gorla
Oskar e Barzi, un duo "senza nome"
(da Fumo di China n° 90, maggio 2001)

Un duo solido, Davide Barzi e Oskar sono gli artefici di No Name, goffo ed esuberante personaggio dal pedigree co­mico-grottesco. Li incon­triamo a Milano.
Interno giorno. Scuola del Fumetto. Un pomeriggio d'aprile, tra sgabelli e tavoli da disegno. Oskar, l'uomo sen­za cognome, ha il suo book sotto il braccio, lo sfogliamo. Barzi, che di no­me fa Davide, giocherella con un CD dei Gufi (seminale gruppo milanese degli anni Sessanta). Iniziamo a parlare, rispondono all'u­nisono o in perfet­to sincrono: quando uno tace l'altro parla.


Siamo nel luogo del vostro primo incontro?
Sì, ci siamo cono­sciuti alla Scuola del Fumetto. Da quell'e­sperienza è nato anche un volumetto che contene­va un fumetto umori­stico, I Vagamondi, una se­rie creata per un'i­potetica rivista contenitore per bambini. Un progetto simpa­tico e interessante che coinvolgeva al­cune scuole elementari del milanese.

Umorismo nel sangue?
Oskar:
Ho sempre disegnato guar­dando al comico e al grottesco. Ho amato Magnus e il suo Alan Ford, e la sua Compagnia della forca. Ho ama­to a dismisura Bonvi. Sono cresciuto con quelli. Penso di non aver mai fat­to un disegnato realistico in vita mia, liceo a parte, naturalmente. Tendo a fare la testa grande, le facce molto espressive
Barzi: Stessi amori. Su queste cose ci siamo subito ritrovati, per il resto non andiamo d'accordo su niente, tranne forse la sangria.

Preferite ridere, sorridere o sghi­gnazzare?
Barzi a Oskar: Questa è difficile, dilla tu.
Oskar: Nella vita in generale, sorridere.

E nel fumetto?
Sghignazzare, certamente. Ma non so­lo. Per esempio in un episodio di No Name abbiamo inserita una piccola fiaba giocando sulle funzioni di Propp.

Mi sembra che siate affascinati dalla contaminazione dei linguaggi.
Barzi:
Per fare un paragone musicale, io adoro Elio e le Storie Te­se: prendere cultura bassa, cultura alta e cucinare il tutto. Lo trovo molto stimolante. Anche se lo scopri dopo. Senti Elio, senti le loro canzoni, c'è la volgarità, il peto e dici: sono dei creti­ni! Poi ascoltim con attenzione e trovi anche raffinatissime cita­zioni musica­li; ti trovi davanti a musicisti bravissimi e consapevoli. Noi volevamo far la stessa con il fumetto.

E ci siete riusciti?
Mah! Abbiamo ricevuto molti apprez­zamenti, ma anche critiche. Una cri­tica ricorrente è quella che nelle vi­gnette ci sono troppe cose, citazioni e un mare di particolari. Ti devi ferma­re ad ogni vignetta. Ma noi lavoriamo per aggiunta e Jacovitti è stato tra i nostri maestri.

Citazioni ma anche giochi verbali e grafici.
Appunto, citazioni letterarie ma non solo. Ci divertiamo a inserire dettagli disegnati nella vignetta, giocando su diversi piani. Mentre qualcosa succe­de in primo piano, dietro c'è una sor­ta di seconda storia che prosegue per più vignette. Per esempio nel nume­ro zero di No Name, mentre al cimi­tero c'è la scena della risurrezione di No Name, alle sue spalle c'è un tipo che ruba le salme e a un certo punto inizia a ballare con Michael Jackson, che arriva dritto dritto dal video di Th­riller.

Preferite usare diversi piani di lettura che non quello li­neare della vicenda?
Certamente. Così co­me amiamo molto uscire dal seminato. Non stare solo sul fu­metto ma spaziare: fumetto, favola, sonetto. Nel terzo episodio di No Name abbiamo inseri­to un sonetto, come nel primo episo­dio una favola. Ci piace mescolare lin­guaggi, senza compartimenti stagni.

Il vostro modus operandi?
Partiamo da un soggetto in genere le­gato a una situazione paradossale e poi ci lavoriamo insieme a quattro ma­ni, discutendo, provando, divertendo­ci parecchio. Cerchiamo di essere mol­to sinceri l'uno con l'altro, schietti, al­la ricerca della soluzione migliore, nel testo e nel disegno. Con questo siste­ma abbiamo creato No Name. Il nu­mero zero era una storia a sé, otto ta­vole di base che sono diventate venti­quattro. Esiste anche un numero uno mai pubblicato, giocato sulla casualità più totale. 32 pagine dove al messo più roba possibile, senza chiudere il finale. Avevamo pensato a un progetto sviluppato in sei numeri, e continuity americana. Abbiamo iniziato facendo le prime trentadue pagine e poi... quelli di Comics & Dintorni – il nostro primo editore - ci hanno fatto aprire gli occhi dicendo e un fumetto confuso; fa­cendoci riflettere che con un'uscita semestrale o an­nuale c'era la cer­tezza di perdere contatto con il pub­blico. Per cui quel numero è rimasto nel cassetto. E siamo ripartiti pen­sando a episodi autoconclusivi, se­guendo una metodica classica.

Come è nata l'idea di No Name?
Barzi:
Era un personaggio assoluta­mente secondario. Nel numero zero infatti muore, quasi subito, doveva es­sere una sorta di comparsa.
Oskar: Nella sceneggiatura c'era scrit­to: "supereroe giapponese di poca im­portanza: tanto muore subito!". E io l'ho fatto un po' sfigato: obeso, senza nessun potere, costumino troppo cor­to, pantaloni alla Obelix. È un eroe stupido con slanci cinici solo quando è spinto dal bisogno. È uscito di prepotenza.

Altri personaggi?
Ne abbiamo un cassetto pieno. Abbia­mo avuto un periodo di iperproduzione. Facendo fallire molta editoria minore italiana (ridono!). Noi propo­nevamo un fumetto e le testate mori­vano, anche se per cause non riconducibili a noi. Resta il fatto.

Portate sfìga?
Non dirlo, se no la gente ci crede. Cer­to è che dopo l'avventura di Prato al premio Pierlambicchi, l'abbiamo pro­posto No Name al gruppo de L'Isola che non c'è (edizioni Comica), a cui piaceva, ma avendo la rivista un'im­postazione più da striscia, ci hanno detto: o lo ridisegnate o ci portate al­tro. Abbiamo portato altro. Una striscia dal titolo Rynghio & Raskio, due alie­ni che vogliono conquistare il mondo da soli. Uno più scaltro e l'altro un po' fesso, classica coppia; il valore aggiunto sta nel fatto che sono alieni. La cosa è piaciuta ed eravamo pronti per la pub­blicazione: addirittura, su Mega (rivi­sta di anteprime), apparve una striscia accompagnata dalla scritta "la nuova serie sarà presente sul numero 12 del­la rivista". Sotto, aggiunto di fretta e furia, un teschietto e la scritta: "la te­stata chiude con il numero 11". Un'altra storiella frustrante è lega­ta alle vicende della redazione milanese di Cuore, seconda ma­niera. A loro proponiamo BB, storia di una bambina bastar­da, una striscia dove la realtà è vi­sta con gli occhi e con la cattive­ria tipica dei bambini. Nel frat­tempo si è consumato uno scon­tro tra la redazione milanese e quel­la romana. Ha vinto la romana.

Un'anticipazione, senza far chiu­dere un'altra testata?
Pare che si venda bene il fu­metto erotico e allora ab­biamo fatto una storia eroti­ca, breve, 8 tavole. Oskar è abbastanza bravo nel disegno dei corpi femminili e questo non guasta certo.

Erotico-umoristico?
Certamente, non riusciamo a far a me­no dell'umorismo. Infatti il personag­gio principale di questa breve storia è una divinità millenaria a forma falli­ca. Divinità che dona fortuna alla don­na che lo porta con sé, ma questo a patto che non lo faccia mai "crollare", perché nel momento in cui non arri­va più ossigeno al cervello (??!) la di­vinità muore e non porta più fortuna.

Rapporto con il pubblico?
Molto positivo. Ci siamo accorti che c'è un buon feeling; non abbiamo mi­gliaia di lettori ma difficilmente chi compra un numero poi ci abbandona. Addirittura i nostri lettori comprano più copie di un episodio, un po' perché abbiamo iniziato il gioco della coper­tina diversa nel primo episodio, un po' perché alle fiere a chi acquista un nu­mero diamo sempre un disegno ori­ginale. C'è chi ha più copie dello stes­so episodio.

Beh, ne avete fatti due...
C'è anche lo zero. Comunque la gen­te ritorna, parla. Ci mandano mail, qualcuno addirittura ha scritto per po­sta e i commenti sono quasi tutti po­sitivi. Le critiche sono però abbastan­za radicali: è illeggibile.

No Name ha partecipato alle elezioni del fumetto italiano del 13 gennaio 2001?
E ha preso voti, non pochi tutto som­mato. Anche perché a Lucca abbiamo fatto una campagna spietata. Il volan­tino aveva testi incisivi: "mettici una croce sopra"; "nel segno della conti­nuità: vota un cadavere"; "un impe­gno concreto: scendo in un cam­po...santo" e noi lo spacciavamo nei pressi dei seggi. E allo stand regalavamo sangria a chi ci prometteva di andare a votare per No Name. Vero clientelismo.

Impegnati a tempo pieno nella pro­mozione.
Mostre, presentazioni, partecipazione alle fiere del fumetto, presenza nelle fumetterie, No Name News via posta elettronica. Addi­rittura abbiamo presentato No Name al cinema di Rozzano, ridente paese dell'hinterland mi­lanese. Una serata interessante do­ve si è messo insieme degusta­zione, fumetto e cinema. Generi e linguaggi. Abbiamo presenta­to il fumetto e un film (Denti di Salvatores) in un clima va­gamente surreale. Certo, oltre al­l'impegno c'è chi crede in noi, co­me Gianni Bono dell'Epierre che ci pubblica, e Bono non scher­za sulla qualità. Poi c'è una grande donna alle nostre spal­le, Graziella Calatroni, redattrice e factotum dell'E­pierre. Fra le prime fan di No Name che ci ha aiu­tato, e aiuta, in mille mo­di: controlla bozze, lettering, disegni, manda in giro le coi prepara le cartelle stampa. Se non ci fosse bisognerebbe inventarla.

In No Name è più importante la battuta o l'atmosfera?
L'atmosfera. Tutto nasce da una situazione particolare e in quel contesto nasce il gioco delle battute. Da battuta diretta al particolare del disegno che fa ridere (ci prova almen0) L'idea è quella di mettere i personaggi in situazioni assurde: nel numero tre, per esempio, ci sono gli Elfi, le fate, un mondo incantato inserito in contesto gangster. Gli Elfi sono gangster e le fate sono prostitute. Per darci un tono chiamiamo No Name un fumetto di generi, cosa e spiazza un po' i lettori. Non ci siamo inseriti in un filone: il primo nume era guardava all'horror, poi il western, la gangster story e infine la fantascienza. Lega tutto il personaggio, senza peso nonostante il peso. Un personaggio stupidamente intelligente e intelligentemente stupido.

Sulla frase storica scende il silenzio. I tre si guardano negli occhi. E ridono.

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